Conto corrente e mutui:
sentenza n. 789 del 13/03/14 del Tribunale Di Taranto - II Sezione - dott. Claudio Casarano.
Il giudizio è relativo ad un contratto di conto corrente con affidamento, al quale risultavano collegati sul piano causale quattro mutui, la cui finalità effettiva era quella di consolidare l'esposizione debitoria di volta in volta maturata.
La sentenza afferma il seguente principio: eliminando le poste passive di un conto corrente, per effetto della pronunzia di nullità di clausole (ad es. anatocismo, oneri, illeciti, eccetera), il controcredito che si viene a configurare a favore del correntista può essere compensato anche con le rate di mutuo, sino a far considerare inefficace l'ultimo mutuo intervenuto, in quanto a quella data in realtà non risultava più passività.
Di seguito viene riportato uno stralcio della motivazione:
Non solo ma se, a seguito del ricalcolo delle partite di dare ed avere, risulti che ad una certa data, per effetto dell’eliminazione di interessi trimestrali, commissioni di massimo scoperto, etc., doveva risultare una posta attiva a favore del cliente, si deve operare la sua compensazione ex art. 1853 c.c. con eventuali rate non risultate pagate.
La forma di compensazione che si viene a configurare è la c.d. compensazione impropria e non quella ex art. 1241 c.c., che invece riguarda a rigore i crediti derivanti da rapporti distinti.
La prima forma di compensazione a differenza della seconda è sempre ammessa, anche d’ufficio, trattandosi di una ricostruzione contabile del dare ed avere relativi ad un unico rapporto( unica causa) ovvero rapporti distinti ma collegati.
Sotto altro profilo la soluzione preferita, fortemente avversata dalla difesa della banca anche nelle conclusionali, è una conseguenza del riverberarsi della nullità della clausola di conto corrente sul collegato contratto di mutuo, stipulato, si ricordi, per azzerare delle sue passività.
In secondo luogo appare coerente la soluzione preferita con il carattere dichiarativo della pronunzia della nullità di clausole di conto corrente, che implica l’eliminazione della fonte delle passività maturate illecitamente e per la quale pronunzia non opera neanche il limite della prescrizione per l’azione di ripetizione ex art. 1422 c.c.-
La prima forma di compensazione a differenza della seconda è sempre ammessa, anche d’ufficio, trattandosi di una ricostruzione contabile del dare ed avere relativi ad un unico rapporto (unica causa) ovvero rapporti distinti ma collegati.
Sotto altro profilo la soluzione preferita, fortemente avversata dalla difesa della banca anche nelle conclusionali, è una conseguenza del riverberarsi della nullità della clausola di conto corrente sul collegato contratto di mutuo, stipulato, si ricordi, per azzerare delle sue passività.
In secondo luogo appare coerente la soluzione preferita con il carattere dichiarativo della pronunzia della nullità di clausole di conto corrente, che implica l’eliminazione della fonte delle passività maturate illecitamente e per la quale pronunzia non opera neanche il limite della prescrizione per l’azione di ripetizione ex art. 1422 c.c.-
In altri termini il controcredito riconosciuto al correntista per effetto dell’eliminazione dal mondo giuridico delle clausole nulle e dei suoi effetti non diviene esigibile solo con la pronunzia di nullità; la quale infatti non è costitutiva ma, come è noto dichiarativa.
E la differenza sul piano concreto non è di poco momento: il credito del correntista per effetto della eliminazione dal conto delle poste passive illecite è pari ad 894.321.770 di vecchie lire, mentre il credito della banca che residuerebbe seguendo la metodologia preferita è di allora lire 841.597.481; seguendo l’impostazione della banca residuerebbe in proprio favore un credito di lire 1.590.598.992( vedi pagina 16 della comparsa conclusionale).
Portando poi alle estreme conseguenze la tesi della necessità che la pronunzia di nullità debba esplicare la sua piena efficacia sugli spostamenti patrimoniali in fatto verificatisi per effetto delle clausole da essa colpite, se un mutuo era destinato ad azzerare la passività di conto corrente con la stessa banca, ma emerge dopo la Ctu che un rosso oltre fido di conto corrente in realtà non si sarebbe configurato, in virtù del ricalcalo delle poste attive e passive derivanti dalla pronunzia di nullità parziale contenuta nella sentenza non definitiva, quello stesso mutuo deve considerarsi tamquam non esset.>>
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Alcuni spunti giurisprudenziali
sull'USURA ORIGINARIA DEL MUTUO:
con un doppio intervento la Cassazione ha riportato alla ribalta il tema dell'usura bancaria. La Suprema Corte il 9 gennaio 2013, con la sentenza n° 350/2013, ha confermato (e chiarito definitivamente) che per classificare un tasso come usurario vanno considerati anche gli interessi di mora inseriti in un contratto di finanziamento, anche se concretamente il rapporto non fosse mai andato in mora. Due giorni dopo, l'11 gennaio 2013, con due sentenze gemelle (n° 602-603/2013) la Cassazione è intervenuta ancora sul tema dell'usura, confermando (e chiarendo definitivamente) che i tassi possono divenire usurari anche nel corso di un rapporto di finanziamento (la cosiddetta usura effettiva, o sopravvenuta), non solo nel momento in cui sono pattuiti (usura originaria o preventiva). E nei mesi successivi non sono mancate Sentenze di Giudici ordinari del Tribunale e pronunciamenti dell'Abf (Arbitro bancario finanziario) che hanno accolto la sopracitata impostazione che, per gli effetti dell'usura sopravvenuta, trasforma i mutui a tasso fisso in variabile, ma solo al ribasso. Una delle ultime, in ordine di tempo, la decisione assunta dal Collegio di coordinamento dell'Abf il 10 gennaio 2014 (protocollo n°77/14).
Ma vi sono anche numerose altre Sentenze del Tribunale, e Pronunce dell’arbitro Bancario Finanziario, anche recentissime, che confermano ulteriormente l’impostazione tecnico-giuridica delle c.t.p. (consulenze tecniche di parte) dello Studio Portolano.
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USURA – alcune Pronunce (2007-2014)
Tra le numerose Pronunce esistenti, tutte che condannano l’USURA, citiamo alcune recenti Pronunce sull’usura, in generale (varie circostanze e vari tipi di rapporti bancari):
30 Maggio 2014 – Tribunale di Salerno - Condanna di un’anno e due mesi di reclusione di un funzionario Unicredit per aver applicato tassi di usura su un’apertura di credito con utilizzo in conto corrente di corrispondenza accesa presso l’Unicredit.
1 Maggio 2014 - Tribunale di Isernia - Accolto il ricorso di una società illegittimamente segnalata presso la centrale Rischi della Banca d’Italia.
10 Gennaio 2014 – Procura della Repubblica presso il Tribunale di Vicenza - Indagati i vertici di un primario istituto di credito per usura, truffa aggravata ed estorsione
30 Dicembre 2013 – Tribunale di Rovereto - Ordinanza di sospensione delle provvisoria esecutorietà art. 649 c.p.c.
21 Settembre 2013 Tribunale di Forlì - Indagati per usura 29 banchieri
21 Maggio 2013 - Tribunale di Salerno - Richiesta di sostituzione del Consulente della Procura da parte del GIP al PM
19 Novembre 2012 – Tribunale di Salerno - Sentenza – Rinviato a giudizio il CdA della BCC di Capaccio per usura bancaria
30 Ottobre 2012 – Tribunale di Bari – Decreto di citazione a giudizio a carico di due funzionari di banca accusati di Truffa, in concorso, per aver venduto strumenti finanziari Derivati dannosi per il Cliente
31 Agosto 2012 – sentenza Tribunale di Forlì – Rigettata richiesta di archiviazione per usura bancaria. Il GIP chiede che le indagini siano ripetute
04 Settembre 2012 – Tribunale di Forlì - sentenza accerta l’illegittimità dell’operato della banca, cancellato un debito di oltre 160.000,00 euro, inviati gli atti alla Procura della Repubblica per usura
18 Maggio 2012 – Tribunale di Salerno - Richiesta di rinvio a giudizio funzionari della BCC dal Tribunale di Salerno
05 Ottobre 2011 – Tribunale di Benevento - Funzionari di banca rinviati a giudizio per usura bancaria
09 Aprile 2011 - Tribunale di Benevento - Rinvio a giudizio per usura bancaria
09 Febbraio 2011 – Tribunale di Salerno - Direttori di banca rinviati a giudizio per usura bancaria
10 Settembre 2010 – Tribunale di Cassino - Rinvio a giudizio del presidente della banca
12 Novembre 2009 – Tribunale di Milano - Derivati al Comune di Milano; chiesto rinvi a giudizio di quattro banche (Il Sole 24 Ore, Reuters Italia)
15 Gennaio 2009 – Tribunale di Nola - Revoca Falimento: richiesti euro 34.000.000 per risarcimenti danni
24 Febbraio 2009 – Tribunale di Nola - Nullità del mutuo di scopo: Il Tribunale non riconosce la restituzione della sorte capitale
16 Settembre 2008 – Tribunale di Nola - Nullità del mutuo di scopo: il Tribunale non riconosce la restituzione della sorte capitale
16 Ottobre 2007 – Tribunale di Nola - Revoca sentenza dichiarativa di fallimento per usura e illeciti bancari
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PRESCRIZIONE
La Corte di Cassazione, Sentenza 2262 del 09 aprile 1984, ha statuito che "Il momento iniziale del termine prescrizionale decennale per il reclamo delle somme indebitamente trattenute dalla banca a titolo di interessi decorre dalla chiusura definitiva del rapporto, come già ha ritenuto questa Corte sia con riferimento al deposito bancario regolato in conto corrente (cfr. Cass. Civ., Sez. I, 21/03/1963 n. 689) sia con riguardo al mandato (Sent. 06/07/1976 n. 2505) - ove siano previste più prestazioni del mandatario e qualora le parti, come nella specie, non abbiano pattuito diversamente - alla cui disciplina è soggetto prevalentemente il contratto di operazioni bancarie (Sent. 21/12/1971 n . 3701; 06/12/1974 n. 4043), qui ricorrente. Difatti, i contratti bancari di credito con esecuzione ripetuta di più prestazioni, sono contratti unitari, che danno luogo ad un unico rapporto giuridico, anche se articolato in una pluralità di atti esecutivi; perciò la serie successiva di versamenti; prelievi ed accreditamenti non dà luogo a singoli rapporti (costitutivi od estintivi), ma determina solo variazioni quantitative dell'unico originario rapporto costituito tra banca e cliente (Cass. 30/04/1969 n. 1392 ; e 25/07/1972 n.
2545)".
A tal proposito, vedi anche Cass. Civ. 10127/2005.
ILLECITI VARI
Orientamento costante della Corte di Cassazione: Cass. Civ. 18 settembre 2003, n. 13739; Cassazione Civile, Sez. I, 1 ottobre 2002, n. 14091; Cassazione, Sez. I, 28 marzo 2002 n. 4498; Cassazione, Sez. I, 28 marzo 2002 n. 4490; Cassazione, Sez. I, 1° febbraio 2002 n. 1281; Cassazione, Sez. I, 11 novembre 1999 n. 12507; Cassazione, Sez. III, 30 marzo 1999 n. 3096
Cassazione Sez. Unite sentenza n.21095 del 2004 -
Presidente Carbone - Relatore Morelli
Svolgimento del processo Il Credito Italiano Spa ha impugnato per cassazione la sentenza in data 15 gennaio 2001, con la quale la Corte di appello di Cagliari, in riforma della pronunzia di primo grado, ha accolto la opposizione proposta da F. e C. S. avverso il decreto ingiuntivo su sua istanza emesso nei confronti dei due predetti intimati, quali fideiussori della X. Spa, per l'importo complessivo di lire 1.097.415.300 (ed accessori), corrispondente al saldo passivo finale del conto corrente sul quale sarebbero state effettuate plurime erogazioni di credito in favore della società garantita. Con le quattro complesse serie di motivi, di cui si compone l'odierno ricorso - la cui ammissibilità e fondatezza è contestata dagli intimati con separati controricorsi - il Credito italiano critica in sostanza la Corte di merito per avere, a suo avviso, errato:
a) nel rilevare di ufficio profili di nullità del contratto da cui trae origine il debito garantito dagli attuali resistenti;
b) nell'escluderne, in particolare, la validità in relazione alla clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi, anche per il periodo anteriore alle note pronunzie della primavera del 1999 (nn. 2374 del 16 marzo, n. 3096 del 30 marzo e successive conformi che, in contrasto con la precedente giurisprudenza, hanno escluso la rispondenza di clausole siffatte ad un "uso normativo" ai sensi dell'articolo 1283 Cc;
c) nel ritenere, inoltre, non operative le garanzie prestate dagli S. per il periodo successivo alla data (9 luglio 1992) di entrata in vigore della legge 154/92, che ha prescritto la fissazione di un tetto massimo per la validità delle fideiussioni omnibus;
d) nell'escludere, infine, la debenza dell'intero credito, azionato con il decreto opposto, per ritenuta (a torto) carenza di documentazione, imputabile all'istituto, che consentisse di scorporare dall'importo preteso in via monitoria quello riferibile a periodo di operatività della fideiussione e detrarre, dallo stesso, le voci relative alla capitalizzazione periodica degli interessi.
Su istanza della parte ricorrente, il primo Presidente ha assegnato la causa alle S.U., ravvisando, in quella sub b), questione di massima di particolare importanza.
Motivi della decisione
1. La questione di massima, in ragione della cui particolare importanza gli atti della presente causa sono stati rimessi a queste Su, ai sensi dell'articolo 374, cpv, Cpc si risolve nello stabilire se - incontestata la non attualità di un uso normativo di capitalizzazione trimestrale degli interessi a debito del correntista bancario - sia o non esatto escludere anche che un siffatto uso preesistesse al nuovo orientamento giurisprudenziale (Cassazione 2374/99 e successive conformi) che lo ha negato, ponendosi in consapevole e motivato contrasto con la precedente giurisprudenza.
2. È, per altro, preliminare all'esame della riferita questione, quello delle eccezioni pregiudiziali - sollevate, rispettivamente, da F. e dal C. S. - di inammissibilità del ricorso "per difetto di specialità della procura alle liti" e "per intervenuto giudicato formale sulla sentenza parziale resa dalla Corte di Cagliari" nel corso del giudizio a quo.
2.1. La prima eccezione - con cui il difetto di specialità, per "assenza di riferimento al giudizio per cassazione e alla sentenza impugnanda", è (impropriamente), in particolare, riferito, non già alla procura rilasciata al difensore (che tali riferimenti puntualmente, invece, contiene), ma all'atto fonte dei poteri del soggetto che detta procura ha conferito - è infondata. Si deduce, infatti, in sostanza, dal resistente che la procura speciale non sia nella specie riferibile - come ex articolo 365 Cpc viceversa dovrebbe - alla parte od a chi ha il potere di rappresentarla, in quanto sottoscritta "da un dirigente e non dal legale rappresentante del Credito Italiano ricorrente". E tale rilievo non coglie nel segno, dacché il dirigente dell'ente - contrariamente all'avverso assunto - ha conferito il mandato alla odierna impugnazione nella veste appunto di "legale rappresentante" del Credito italiano, così (correttamente) spesa sulla base dello Statuto dell'ente che, all'articolo 29, testualmente prevede che "la rappresentanza anche [e quindi: non solo] processuale della società spetta disgiuntamente al Presidente, ai Vice Presidenti ... nonché ai dirigenti ... con facoltà di designare mandatari speciali per il compimento di determinate operazioni e di nominare avvocati munendoli degli opportuni poteri".
2.2. Del pari destituita di fondamento è anche l'ulteriore eccezione di "giudicato formale interno", che tale vis preclusiva pretende, con evidente forzatura, di conferire all'ordinanza (del 31 maggio 1999), con la quale la Corte di merito - in via istruttoria e strumentale alla decisione, non certo decisoria - si è limitata invece a nominare un Ctu per l'espletamento di una perizia contabile, volta ad accertare, sulla base degli atti, le singole voci (tra cui quella relativa alla capitalizzazione degli interessi) da cui risultava il complessivo importo per cui la Banca aveva agito in via monitoria.
3. Precede ancora, a questo punto, l'esame del primo motivo del ricorso, con il quale si denunzia la violazione degli articoli 112, 101, 345 Cpc, in relazione all'articolo 1421 Cc, in cui si assume essere incorsa la Corte di appello nel rilevare di ufficio la nullità della clausola anatocistica. Atteso che, con tal mezzo, si introduce un tema di indagine logicamente preliminare, e virtualmente assorbente, rispetto a quello sostanziale sulla validità o meno della clausola stessa nel periodo che qui viene in rilievo. Il vizio in procedendo, così prospettato, ad avviso di questo Collegio, però, non sussiste. La nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi (tardivamente dedotta dalle parti solo in comparsa conclusionale), effettivamente è stata, infatti, rilevata "di ufficio" nella X. e di gravame. Ma ciò la Corte di Cagliari ha fatto in corretta applicazione del principio per cui la nullità, in tutto o in parte, del contratto posto a base della domanda può essere rilevata, appunto, di ufficio,anche per la prima volta in appello (cfr. Cassazione 2772/98). È pur vero, per altro, che il potere che il citato articolo 1421 conferisce in tal senso al giudice (in ragione della tutela di valori fondamentali dell'ordinamento giuridico) va coordinato con il principio della domanda, di cui agli articoli 99 e 112 Cpc, e che le esigenze a tali principi sottese - rispettivamente di verifica delle condizioni di fondatezza della azione e di immodificabilità della domanda - possono trovarsi tra loro in contrasto ove, in particolare, alla pretesa di una parte relativa ad un credito ex contractu si contrapponga l'eccezione di nullità, dell'altra, che il giudice ritenga (come nella specie) di integrare con il rilievo di aspetti della patologia del negozio che la parte, interessata alla improduttività dei correlativi effetti, non abbia colto (o non abbia tempestivamente comunque dedotto). Ma un tale contrasto si risolve sulla base della considerazione che, se da un lato, il potere-dovere decisionale del giudice, in relazione alla domanda proposta, si estende agli aspetti della inesistenza o della nullità del contratto dedotto dall'attore, la deduzione in tal senso del convenuto non può costituire, od essere considerata, domanda giudiziale, non ponendosi in rapporto genetico con il potere-dovere decisionale del giudice sul punto, che già esiste. Sia impostata quella deduzione come eccezione, come domanda riconvenzionale per la declaratoria di nullità, o come motivo di gravame, si tratta pur sempre di mera difesa, attenendo all'inesistenza, per mancato perfezionamento o per nullità, del fatto giuridico, il contratto, dedotto dall'attore a fondamento della domanda, che dunque non condiziona l'esercizio del potere officioso di rilievo della nullità fondata su aspetti distinti di patologia negoziale (Cassazione 5341/84). Nella specie deve farsi riferimento alla domanda iniziale, proposta in via monitoria dal Credito italiano la quale, se pur rivolta nei confronti dei fideiussori, ha comunque ad oggetto il pagamento del saldo del contratto di conto corrente, stipulato dal debitore principale. Per cui, appunto, non vale a paralizzare la rilevabilità, da parte del giudice, dì aspetti di nullità di quel contratto il fatto che gli intimati (aventi veste sostanziale di convenuti nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo) abbiano focalizzato, in particolare, le loro difese su profili, di invalidità ed inoperatività della fideiussione, da essi prestata. E ciò a prescindere dalla considerazione che, eccependo comunque anche l'inesistenza di valida prova del credito contro di loro azionato, i fideiussori hanno con ciò contestato in radice lo stesso debito principale.
4. Può ora passarsi all'esame della questione di massima di cui retro, sub 1.
4.1. Il parametro di riferimento è costituito dall'articolo 1283 del Cc (Anatocismo) e, in particolare, dall'inciso "salvo usi contrari" che, in apertura della norma, circoscrive la portata della regola, di seguito in essa enunciata, per cui "gli interessi scaduti possono produrre interessi [(a)] solo dalla domanda giudiziale o [(b)] per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre, che si tratti di interessi dovuti da almeno sei mesi".
4.2. Come è noto, in sede di esegesi della predetta norma, le richiamate sentenze (2374, 3096, 3845) della primavera del 1999, ponendosi in consapevole e motivato contrasto con pronunzie del ventennio precedente (6631/81; 5409183; 4920/87; 3804/88; 2444/89; 7575/92; 9227/95; 3296/97; 12675/98), hanno enunciato il principio - reiteratamente, poi, confermato dalle successive sentenze 12507/99; 6263/01; 1281, 4490, 4498, 8442/02; 2593, 12222, 13739/03, ed al quale ha dato comunque immediato riscontro anche il legislatore (che, con l'articolo 25 del D.Lgs 342/99 ha, all'uopo, ridisciplinato le modalità di calcolo degli interessi su base paritaria tra banca e cliente) - (principio) per cui gli "usi contrari", idonei ex articolo 1283 Cc a derogare il precetto ivi stabilito, sono solo gli usi "normativi" in senso tecnico; desumendone, per conseguenza, la nullità delle clausole bancarie anatocistiche, la cui stipulazione risponde ad un uso meramente negoziale ed incorre quindi nel divieto di cui al citato articolo 1283.
4.3. Al di là di varie ulteriori argomentazioni, di carattere storico e sistematico, rinvenibili nelle pronunzie del nuovo corso, destinate più che altro ad avvalorare il "revirement" giurisprudenziale, emerge dalla motivazione delle pronunce stesse come, nel suo nucleo logico-giuridico essenziale l'enunciazione del principio di nullità delle clausole bancarie anatocistiche si ponga come la conclusione obbligata di un ragionamento di tipo sillogistico. La cui premessa maggiore è espressa, appunto, dalla affermazione che gli "usi contrari", suscettibili di derogare al precetto dell'articolo 1283 Cc, sono non i meri usi negoziali di cui all'articolo 1340 Cc ma esclusivamente i veri e propri "usi normativi", di cui agli articoli 1 e 8 disp. prel. Cc, consistenti nella ripetizione generale, uniforme, costante e pubblica di un determinato comportamento (usus), accompagnato dalla convinzione che si tratta di comportamento (non dipendente da un mero arbitrio soggettivo ma) giuridicamente obbligatorio, in quanto conforme a una norma che già esiste o che si ritiene debba far parte dell'ordinamento giuridico (opinio juris ac necessitatis). E la cui premessa minore è rappresentata dalla constatazione che "dalla comune esperienza emerge che i clienti si sono nel tempo adeguati all'inserimento della clausola anatocistica non in quanto ritenuta conforme a norme di diritto oggettivo già esistenti o che sarebbe auspicabile fossero esistenti nell'ordinamento, ma in quanto comprese nei moduli predisposti dagli istituti di credito, in conformità con le direttive dell'associazione di categoria, insuscettibili di negoziazione individuale e la cui sottoscrizione costituiva al tempo stesso presupposto indefettibile per accedere ai servizi bancari. Atteggiamento psicologico ben lontano da quella spontanea adesione a un precetto giuridico in cui, sostanzialmente, consiste l'opinio juris ac necessitatis, se non altro per l'evidente disparità di trattamento che la clausola stessa introduce tra interessi dovuti dalla banca e interessi dovuti dal cliente".
4.4. Ora di questo sillogismo, che costituisce la struttura portante del nuovo indirizzo, del quale si sollecita il riesame, neppure la banca ricorrente mette in discussione la premessa maggiore, mentre quanto alla sua premessa minore la contestazione che ad essa si muove, attiene, sul piano diacronico, al solo profilo della portata retroattiva che il nuovo indirizzo ha inteso attribuire alla rilevata inesistenza di un uso normativo in materia di capitalizzazione trimestrale degli interessi bancari. Si sostiene, infatti, in contrario che la giurisprudenza del '99 abbia correttamente accertato l'inesistenza attuale, ma erroneamente escluso l'esistenza pregressa della consuetudine in parola. E si auspica per ciò, dunque, che essa vada superata nel senso di constatare che "la convinzione degli utenti del servizio bancario della normatività dell'uso di capitalizzazione trimestrale degli interessi, originariamente sussistente, è venuta meno dopo lungo tempo" [id est: la consuetudine si è estinta per desuetudine in relazione al venire meno della opinio iuris del comportamento sottostante] "proprio a seguito di quello stesso processo di mutamento di prospettiva che ha indotto la Cassazione medesima a mutare il proprio precedente orientamento". Ed a sostegno di tale assunto la difesa della ricorrente argomenta: a) che l'opinio iuris della prassi di capitalizzazione degli interessi dovuti dal cliente sarebbe stata esclusa dalla criticata giurisprudenza assumendo a parametro un quadro normativo, come evolutosi a partire dai primi anni '90, non certo retrodatabile all'epoca in cui, in un contesto radicalmente diverso, quella prassi si era instaurata, con adesione degli utenti dei servizi bancari, che ne avrebbero pienamente presupposto la normatività; b) che, comunque, la stessa precedente giurisprudenza che per un ventennio aveva reiteratamente ritenuto, ove pur erroneamente, l'esistenza di un uso normativo di capitalizzazione degli interessi bancari avrebbe, per ciò stesso, costituito "elemento di fondazione o consolidazione dell'uso stesso". Nessuno dei riferiti, pur suggestivi, argomenti si lascia però condividere.
4.5. L'evoluzione del quadro normativo - impressa dalla giurisprudenza e dalla legislazione degli anni '90, in direzione della valorizzazione della buona fede come clausola di protezione del contraente più debole, della tutela specifica del consumatore, della garanzia della trasparenza bancaria, della disciplina dell'usura ha innegabilmente avuto il suo peso nel determinare la ribellione del cliente (che ha dato, a sua volta, occasione al revirement giurisprudenziale) relativamente a prassi negoziali, come quella di capitalizzzione trimestrale degli interessi dovuti alle banche, risolventesi in una non più tollerabile sperequazione di trattamento imposta dal contraente forte in danno della controparte più debole. Ma ciò non vuole dire (e il dirlo sconterebbe un evidente salto logico) che, in precedenza, prassi siffatte fossero percepite come conformi a ius e che, sulla base di una tale convinzione (opinio iuris), venissero accettate dai clienti. Più semplicemente, di fatto, le pattuizioni anatocistiche, come clausole non negoziate e non negoziabili, perché già predisposte dagli istituti di credito, in conformità a direttive delle associazioni di categoria, venivano sottoscritte dalla parte che aveva necessità di usufruire del credito bancario e non aveva. quindi, altra alternativa per accedere ad un sistema connotato dalla regola del prendere o lasciare. Dal che la riconducibilità, ab initio, della prassi di inserimento, nei contratti bancari, delle clausole in questione, ad un uso negoziale e non già normativo (per tal profilo in contrasto dunque con il precetto dell'articolo 1283 Cc), come correttamente ritenuto dalle sentenze del 1999 e successive.
4.6. Né è in contrario sostenibile che la "fondazione" di un uso normativo, relativo alla capitalizzazione degli interessi dovuti alla banca, sia in qualche modo riconducibile alla stessa giurisprudenza del ventennio antecedente al revirement del 1999. Anche in materia di usi normativi, così come con riguardo a norme di condotta poste da fonti-atto di rango primario, la funzione assolta dalla giurisprudenza, nel contesto di sillogismi decisori, non può essere altra che quella ricognitiva, dell'esistenza e dell'effettiva portata, e non dunque anche una funzione creativa, della regola stessa. Discende come logico ed obbligato corollario da questa incontestabile premessa che, in presenza di una ricognizione, pur reiterata nel tempo, che si dimostri poi però erronea nel presupporre l'esistenza di una regola in realtà insussistente, la ricognizione correttiva debba avere una portata naturaliter retroattiva, conseguendone altrimenti la consolidazione medio tempore di una regola che troverebbe la sua fonte esclusiva nelle sentenza che, erroneamente presupponendola, l'avrebbero con ciò stesso creata. Ciò vale evidentemente, nel caso di specie, anche con riguardo alla giurisprudenza (costituita, per altro, da solo dieci tralaticie pronunzie nell'arco di un ventennio) su cui fa leva l'istituto ricorrente. La quale - a prescindere dalla sua idoneità (tutta da dimostrare e in realtà indimostrata) ad ingenerare nei clienti una "opinio iuris" del meccanismo di capitalizzazione degli interessi, inserito come clausola insuscettibile di negoziazione nei controlli stipulati con la banca - non avrebbe potuto, comunque, conferire normatività ad una prassi negoziale (che si è dimostrato essere) contra legem.
4.7. Della insuperabile valenza retroattiva dell'accertamento di nullità delle clausole anatocistiche, contenuto nelle pronunzie del 1999, si è mostrato subito, del resto, ben consapevole anche il legislatore. Il quale - nell'intento di evitare un prevedibile diffuso contenzioso nei confronti degli istituti di credito - ha dettato, nel comma 3 dell'articolo 25 del già citato D.Lgs 342/99, una norma ad hoc, volta appunto ad assicurare validità ed efficacia alle clausole di capitalizzazione degli interessi inserite nei contratti bancari stipulati anteriormente alla entrata in vigore della nuova disciplina, paritetica, della materia, di cui ai precedenti commi primo e secondo del medesimo articolo 25. Quella norma di sanatoria è stata, però, come noto, dichiarata incostituzionale, per eccesso di delega e conseguente violazione dell'articolo 77 Costituzione, dal Giudice delle leggi, con sentenza n. 425 del 2000. L'eliminazione ex tunc, per tal via, della eccezionale salvezza e conservazione degli effetti delle clausole già stipulate lascia queste ultime, secondo i principi che regolano la successione delle leggi nel tempo, sotto il vigore delle norme anteriormente in vigore, alla stregua delle quali, per quanto si è detto, esse non possono che essere dichiarate nulle, perché stipulate in violazione dell'articolo 1283 Cc (cfr. Cassazione 4490/02). 4.8. Sul punto della rilevata nullità della clausola anatocistica inserita nel contratto da cui deriva il credito azionato in via monitoria dall'istituto, la sentenza impugnata resiste dunque a censura.
5. Non diverso esito hanno anche le residue due doglianze formulate dal Credito ricorrente.
5.1. In particolare la denuncia di violazione degli articoli 1367 Cc e 10 legge 154/92 - con la quale si addebita alla Corte territoriale di avere erroneamente escluso che per le fideiussioni stipulate in data anteriore alla legge 154 cit. il tetto massimo di garanzia, che ne condiziona l'ulteriore validità, possa essere anche "unilateralmente" fissato dalla Banca, come nella specie, l'istituto in concreto avrebbe fatto con lettera del 1976 - si scontra contro l'accertamento in fatto, operato dai giudici a quibus, quanto alla riferibilità di quella missiva a fideiussione diversa da quelle azionate nel presente giudizio. Dal che propriamente l'inammissibilità della censura in esame per difetto di interesse.
5.2. A sua volta, anche la statuizione conclusiva della sentenza d'appello - secondo cui non era risultato, nella specie, possibile l'accertamento del credito azionato nei confronti dei fideiussori "per non avere l'istituto assolto pienamente al suo onere probatorio" - si sottrae al sindacato di legittimità, come sollecitato nella parte finale del ricorso, per la sua attinenza all'area delle valutazioni, relative alle risultanze probatorie, riservate alla discrezionalità di giudizio del giudice del merito. Né l'istituto ricorrente può fondatamente sostenere che la rilevazione di ufficio, solo in fase di appello, della questione di nullità della capitalizzazione degli interessi lo abbia ostacolato nella sua attività difensiva. Poiché la Corte territoriale - al fine di accertare quanto effettivamente dovuto alla banca (con detrazione delle voci indebite) - ha disposto apposita Ctu e, nel corso delle operazioni peritali, l'istituto ha avuto evidentemente modo di documentare (cosa che secondo i giudici a quibus non ha fatto in modo compiuto) le proprie ragioni creditorie.
6. Il ricorso va integralmente, pertanto, respinto. 7. La stessa particolare rilevanza della questione centrale, prospettata con l'odierno ricorso, costituisce giusto motivo di compensazione tra le parti di questo giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.